Matteo Ricci: ponte tra Oriente e Occidente

Nel cuore dell’esperienza educativa gesuita si trova la capacità di attraversare i confini: geografici, culturali e religiosi. Matteo Ricci (1552–1610) è una delle figure più emblematiche di questo spirito. Missionario, scienziato, umanista, è stato il primo europeo a entrare profondamente nella cultura cinese non con l’intento di “conquistare”, ma con quello, più radicale, di comprendere e lasciarsi trasformare.
L’incontro come metodo
Arrivato a Macao nel 1582, Matteo Ricci impiega quasi vent’anni per raggiungere Pechino. Durante questo tempo, studia la lingua cinese, si veste da letterato confuciano, si immerge nei classici e propone un cristianesimo che dialoga con la sapienza millenaria della Cina. La sua opera non è mai colonizzante, ma educativa nel senso più profondo: attenta al contesto, rispettosa dell’altro, fondata su relazioni autentiche.
L’educazione come ponte
Ricci non porta solo una religione, ma anche scienza, matematica, geografia. Le sue mappe del mondo, i suoi strumenti astronomici, i suoi scritti diventano canali di stima reciproca. Il sapere, in questa prospettiva, non è uno strumento di potere, ma una via di comunione. Così la pedagogia ignaziana si fa cultura del dialogo, dove insegnare significa prima di tutto imparare dall’altro.
Un’eredità viva
Nel contesto contemporaneo, segnato da fratture identitarie e chiusure, la testimonianza di Matteo Ricci risuona come un invito pressante: educare significa costruire ponti, riconoscere l’altro nella sua diversità, cercare insieme una verità più grande di ciascuno. È questo il cuore della proposta formativa delle scuole ignaziane: uno sguardo che coniuga radicamento e apertura, spirito critico e fede, eccellenza e servizio.
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